Il concetto di innocenza

Storie di tutti i giorni ormai. Chi pensa “è innocente” chi, viceversa, “è colpevole” portando in dote ragioni e ragionamenti. Tutto qui… Ci si divide su tutto, sul concetto di privacy, sull’equilibrio dei poteri e sulla libertà di politica. Finora nessuno però, o almeno non ne sono a conoscenza, si è mai espresso sul concetto stesso di innocenza. Innocenza è un termine complesso che ha per noi significati reconditi o quotidiani. Cela in sé, però, almeno due significati a cui vorrei dedicare qualche riga.

L’innocenza può essere intesa con accezione morale o legale. I difensivisti, i garantisti usano questa accezione dichiarando che “uno è innocente fino a prova contraria, così come vuole il principio fondante dello stato di diritto”. Quelli che intendono il termine in senso morale invece non possono concordare con questa visione tecnica peraltro, per me, espressa il modo improprio. Il concetto di innocenza non può essere associato al giudizio processuale che intende accertare più che altro, il principio di non colpevolezza che trascende e differisce dal principio di innocenza.

Concorderanno gli intellettualmente onesti che non si può definire tale, solo per citare un esempio, chi viene assolto per mutato scenario legislativo o per decorrenza dei termini di prescrizione… Se quindi si è almeno d’accordo su quest’ultimo punto, non si può che analizzare più serenamente lo scenario corrente considerandolo inappropriato.

L’Italia unita che compirà 150 anni, si trova totalmente divisa, in preda ad un diritto schizofrenico ed ad una classe dirigente e politica, per me, mediocre. Non è certo lo scenario più appropriato per cavalcare l’onda della ripresa economica, finalmente in corso. Come avvenne nel dopoguerra è necessario uno sforzo collettivo, una unità di intenti che ci consenta di riappropriarci del nostro futuro, di quello dei nostri figli ed infine del nostro paese.

Sarebbe più saggio se, in conclusione, per ristabilire uno scenario favorevole, coloro i quali stanno ostacolando il processo di ringiovanimento e di modernizzazione del paese si facessero da parte, per il bene di tutti e per riprendere un discorso, per adesso, solo accennato.

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AAA stabilità mentale cercasi (episodio 5)

corricciC’era un tempo in cui riuscivo a fottermene di tutto. Fare battaglie per la gloria del futile o del grande significava generare idee, movimento. Un periodo bello, senza dubbio, in cui credevano ancora in un futuro migliore. Oggi è già tanto se ce l’abbiamo un futuro.

Era una fantastica vacanza, diciassette anni e me li ricordo come oggi, cosi come ricordo ancora gli occhi verdi della mia bella fidanzatina. Una vacanza, dicevo, all’avventura, senza molti soldi, sperando nel buon cuore del prossimo. E così fu che decidemmo di fare campeggio libero in una spiaggia di Procida, La Corricella, ovvero la coda dell’Isola di Arturo. Un villaggio bellissimo, abitato da pescatori che per fortuna ci presero a benvolere e tutti i giorni ci portavano pesce fresco per le nostre grigliate serali. Non si trattava certo di pesce di prima scelta, ma noi eravamo contenti così. Ad un certo punto cominciarono ad invitarci nelle loro cianciole a tirare gli strascichi di notte, nelle battute di costa, quando il mare permetteva questa attività durissima anche agli inetti come noi.

I pescatori di Procida, pure loro ragazzini, in mare erano forti ed abili. I loro cognomi erano tutti simili (Scotto di questo, Scotto di quell’altro…) i nomignoli invece erano fichissimi! Ercolino quello forte, dottorino lo studente, ‘o mappino quello deriso, ‘o cumpariello il più simpatico…

Una notte ci andò buca, niente pesce. Cosi decidemmo di piantarla lì. Ancorammo la cianciola in una rada e nuotammo fino a riva. Sulla spiaggia ci accolsero i guardiani della spiaggia che, riconosciuti gli isolani, ci diedero un po’ di coniglio per la brace e due bottiglie di Aglianico. Solidarietà marinara, pensai. Mangiammo e bevemmo. Erano ormai le tre di una notte stellata, il momento ed il posto migliore per liberare il filosofo che è in fondo ad ognuno di noi.

Fu allora che ‘o mappino prese coraggio, anche grazie ai vapori dell’Aglianico, e pronunciò una sentenza che emanava tutta la potenza e la saggezza della nostra cultura millenaria. Una sentenza che per un attimo ci fece rabbrividire. ‘O mappino guardò prima il fuoco, poi le ossa di coniglio e sentenziò: “E chesta è ‘a fine che facimm, ‘a fine d’è cuniglie”. Guardammo alle ossa. Ci fu un attimo di gelo ma poi ercolino, con il suo solito spirito sornione, apostrofò il compagno dicendo: “‘o mappì, sì diventato ‘o filosofo d’e cuniglie?”.

Ridemmo tutti, perché tutti su quella spiaggia meravigliosa, in quel punto di discontinuità di quell’universo stellato, eravamo felici.

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AAA: stabilità mentale cercasi (episodio 3)

Ero alla vigilia di una difficile trasferta in Germania. Molti colleghi di Milano si erano avvicendati in una situazione da incubo. D’altronde la siderurgia non è roba da signorine. Scoppi, polveri, campi elettromagnetici, archi elettrici, scintille, fiamme, sensori radiogeni, acidi, tricche-tracche ed altre amenità.

Mi presento gentilmente al collega, noto cazzaro sputtanato più volte: nei suoi discorsi tante stronzate da riempirci un treno.

Tipo alto, un po’ in carne e stempiato. Un po’ nerd un po’ bullo. Presume di sé, si vede a distanza. Come al solito lo lascio fare, con questi personaggi ho una certa dimestichezza purtroppo; come al solito, penso, ho ben altri cazzi.

Nei nostri sobri uffici di Milano si presenta così : “Ciao, mi chiamo xxx, Ah, ti avverto subito… io uso molto i thread (tecnica avanzata di programmazione n.d.s.)”, ed io, serafico, “piacere, io sono Rosario”.

Allora mi descrive il sito e l’albergo dove dovrò alloggiare. Ad un certo punto gli monta una frenesia mentre descrive la receptionist dell’albergo. Mi dice: “allora tu vedrai questa tipa e”, gridando, mentre io, in mezzo ai colleghi, imbarazzatissimo lo guardo esterrefatto, “TU TE LA VORRESTI FARE, E TU TE LA VORRESTI FARE…”. Dicendolo inarcava la schiena e si dimenava come in preda ad un orgasmo.

Mentre gli occhi si illuminavano, capii che, in quel momento, in quei gesti incontrollabili, egli era felice.

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AAA: stabilità mentale cercasi (episodio 4)

Qualche anno fa avevo un capo molto brillante. Capace di analisi fulminee e illuminanti. Intelligente da paura, ma pur sempre un uomo, con tutte le sue limitazioni. Siamo un po’ così, noi esser umani, a volte geni a volte miseri ed imbecilli. Così come niente scriviamo trattati di euristica e poi sbagliamo a prendere il resto al bar, pagando un caffè anche 20 euro. Così era il mio capo: una gran testa fra le nuvole, rozzo e bizzarro quanto basta da farci fare delle matte risate.

La prima volta che siamo stati insieme da un cliente è stato capace di fare girare tutti a mensa mentre cercava di aprire, spingendo con forza, una porta di vetro su cui c’era scritto TIRARE, causando ilarità e paura (soprattutto in quelli he mangiavano vicino alla parete di vetro che sosteneva debolmente la porta seviziata). La seconda, viaggiammo insieme in auto da Milano a Padova dove ci attendeva il responsabile del progetto che doveva firmarci il collaudo. Ebbene, fu capace di tamponare proprio la sua auto in parcheggio. Manco a dirlo, il collaudo a casa non lo portammo. Lui era così, genio e follia.

Il suo ufficio era posto al secondo piano su due appartamenti con ingresso separato. Per passare alla segreteria quindi si doveva uscire sul pianerottolo. Scomodo a tal punto che il responsabile della sede fece abbattere il muro per creare il passaggio diretto. Ebbene, per più di un mese continuò imperterrito, da provetto matematico, a continuare a passare dal pianerottolo, senza accorgersi del passaggio. Manco a dirlo, il passaggio prendeva l’intera parete e la segreteria era a vista. Lui era così.

Un giorno venne a trovarci nella nostra sede, la macchinetta del caffè aveva mancato di inserire nel suo bicchierino il bastoncino. Senza perdersi d’animo, prese un’asticella metallica di quelle che si trovano nei computer che giaceva lì da anni, la infilò nel caffè e girò. Prima di riporla la porse alla bocca e la succhiò, causando una piccola rivoluzione gastrica in tutti noi. Lui era così, volava nella sua capacità di sintesi, felice e fuori dal mondo.

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AAA: stabilità mentale cercasi (episodio 2)

Era il mio primo lavoro stabile da dipendente. Io, ricercatore nel campo dell’intelligenza artificiale, non tanti soldi ma un lavoro da ventisette del mese. Il capo, padre padrone, era un tipo barbuto con tante idee, troppe, che gli fuoriuscivano continuamente e che, tra loro, non si riordinavano mai.

Una lotta frequente, tra me e lui. Idee, le mie, semplici, forse meno originali. Mi ricordo le sue esplosioni quando era meglio lasciar stare. Lo dovevo a San Paganino.

Una volta si argomentò su quale approccio computazionale adottare ed io, come sempre, ero in disaccordo. Motivai e rimotivai, c’erano tutte le ragioni e non ci fu grossa contrapposizione da parte sua fino a quel punto in cui disse le testuali parole: “Rosario, tu hai ragione, è ppe cchesto ca facimme comme dico io”.

Ricordo che, nel dirlo, gli occhi gli si accesero in una fiamma di felicità.

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AAA: stabilità mentale cercasi (episodio 1)

Mi ricordo un posto bellissimo e desolato, nel mezzo della Calabria, costa ionica.

Era il 1983 ed ero un ragazzino alla prima vacanza in comitiva. Prenotammo in questo bellissimo campeggio, vuoto, in mezzo alla spiaggia immensa e soleggiata.

Il nostro vicino di tenda era solo, tipo intellettuale pugliese. Ci raccontò di essere rimasto solo per un litigio con i suoi compari e lui, senza auto ma con la tenda, era rimasto lì abbandonato. Era un tipo originale, scrittore proletario, ex operaio che, avendo pubblicato un libro, era diventato una celebrità nei paesi dell’Est mentre qui non lo aveva letto nessuno. Viveva quindi la struggente frustrazione di vivere in un posto diverso da quello in cui era diventato famoso.

Una mattina si avvicinò a me, confidandomi di aver rubato delle mutandine di una nostra vicina di tenda, piacente trentacinquenne, e di aver passato la mattinata, nascosto, ad annusarle vogliosamente.

Mi ricordo che, nel raccontarlo, gli occhi si illuminarono in un lampo di felicità.

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Cosa penso del dualismo destra-sinistra dei nostri giorni

Tutti voi avrete assistito a trasmissioni televisive o radiofoniche che rappresentano dualismi e contrapposizioni frontali tra esponenti delle due diverse fazioni politiche che caratterizzano la cosiddetta “Seconda Repubblica”.
Ascoltando avrete pensato, forse, io la penso così, in modo simile oppure, a limite, in modo completamente diverso: è da tempo che invece non riesco a trovare più sintonia con questi discorsi: mi appaiono vecchi e fuori luogo.
E’ vero che, nella ricerca della semplificazione ad ogni costo, sia stato necessario arrivare al dualismo democratico quale espressione di alternanza politica, governabilità e responsabilizzazione di governo. Tutte motivazioni senz’altro condivisibili all’interno di un modello politico comprensibile e dallo schieramento inequivoco. Il mondo in bianco e nero, ideologizzato, immanente, replica perenne, paradigmatico.
Cos’è che non va allora? Come mai un modello a cui abbiamo teso a valle di tangentopoli ha consentito l’alternanza ma non l’innovazione? Ha favorito soltanto i “professionals” della politica ed ha di fatto impedito il cambiamento e il ringiovanimento dei nostri rappresentanti?
Molti rispenderanno con slogan ammuffiti dando la colpa a quello o a quell’altro politico. Secondo me no. La colpa è di noi tutti, incapaci di vergognarci di noi stessi, di prendere atto della nostra incapacità di rinnovare noi stessi ed il nostro asfittico mondo e per questo ancorati ai perenni punti fermi della nostra vita.
Ebbene sì: la colpa è mia, tua, di tutti noi, non di Berlusconi o Dalema. Loro rappresentano noi all’ennesima potenza, la nostra voglia di schieramento e di appartenenza.
Spesso ci basta ricordare i peccati veniali o mortali degli schieramenti a noi contrapposti per sentirci a casa, senza incertezze ed inquietudini, abbiamo modo di dare la colpa all’altro, diverso da noi per sentirci un po’ meno retrogradi ed assolverci ancora una volta. La colpa è nostra quando non diamo segnali, permettiamo la strumentalizzazione di tutte le nostre, seppur minime ed asfittiche, iniziative: non indignandoci, indigniamo.
Ora non mi sento più parte di un mondo né dell’altro, voglio misurarmi con proposte, non con recriminazioni. Chi governa operi, chi sta all’opposizione faccia disegni di legge, li condivida, proponga insomma, non si limiti a denigrare l’altrui operato, per quanto esecrabile e meschino.
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IoC: programmazione per componenti

IoC (Inversion of Control) è una tecnica potente per creare applicazioni modulari e fortemente disaccoppiate.
Per spiegare in termini semplici in cosa consiste l’inversion of control (tecnica anche detta Dependency Injection) facciamo un passo indietro.
 
Le applicazioni Object Oriented sono costituite da oggetti che vengono creati, interagiscono con eventi e messaggi e vengono infine distrutti. Ogni oggetto tipicamente necessita di servizi esposti da altri oggetti; ciò viene definita "dipendenza". Ad una dipendenza corrisponde quindi un oggetto che viene utilizzato durante il ciclo di vita. In tale accezione, la definizione della dipendenza è detta statica, in quanto non modificabile a runtime.
 
Una tale forma di dipendenza, corrispondente ad un legame tra classi (l’insieme di tali legami viene definito albero delle dipendenze) non è necessariamente esplicito nè tantomeno è tale la gestione del relativo ciclo di vita.
Infatti una dipendenza può essere espressa, ad esempio, in termini di variabile membro privata e quindi non identificabile facilmente, se non si è in possesso del codice sorgente o di apposita documentazione: in tali casi non è dato sapere come verrà generato l’oggetto della dipendenza, come verrà inizializzato, come e quando, infine esso verrà distrutto.
Ciò produce risultati non sempre desiderabili, soprattutto quando l’appicazione non è semplice e lineare.
Innanzitutto è opportuno che le dipendenze siano esplicite, ciò facilita l’analisi statica, fondamentale per l’analisi di impatto ed il troubleshooting. Esplicitare una dipendenza fornisce risultati più prevedibili e monitorabili.
Analogamente, l’esplicitazione del ciclo di vita consente di evitare problemi di collisione, di inizializzazione e mancato rilascio di risorse critiche o scarse.
Il modello di programmazione con Controllo Diretto (in contrapposizione con il meccanismo definito di Controllo Inverso) ogni oggetto che definisce una dipendenza ne diventa responsabile Chi sviluppa una classe quindi ha la responsabilità di gestire il ciclo di vita delle proprie dipendenze.
 
In contrapposizione a questo modello, l’IoC definisce le dipendenze in modo dichiarativo, affidando ad uno specifico engine la creazione degli oggetti da cui si dipende e di mantenere il collegamento tra di essi.
In tal modo gli oggetti non devono necessariamente occuparsi del ciclo di vita degli oggetti da cui essi dipendono: in pratica non devono decidere se gli oggetti vanno istanziati singolarmente (singleton) e condivisi oppure devono essere istanziati di volta in volta. Non devono poi decidere quando devono essere creati nè come devono essere inizializzati. Questo facilita la "separation of concern" e quindi la creazione di componenti riutilizzabili e sostituibili a runtime.
Tipicamente infatti, le dipendenze si esprimono dichiarativamente in termini di interfaccia, facilitando quindi la modifica a runtime delle istanze. Le applicazioni che si basano su questo modello sono modulari by design, per cui facilmente mantenibili ed aggiornabili.
 
Esempi di utilizzo di IoC sono il Framework Java Spring ed il Microsoft Unity Application Block, mantenuto su Codeplex.
I framework si basano sul concetto di container generalizzato che serve da collettore di oggetti per tutta l’applicazione. Tale container può essere riempito di dipendenze sia programmaticamente che attraverso file di configurazione. Quest’ultimo metodo è quello più potente perchè consente di tenere le applicazioni composte di componenti talmente isolati da non richiedere neppure di essere linkati: ciò, in pratica, consente di rilasciare le applicazioni in moduli compilati e mantenuti separatamente.
 
Nel prossimo post entrerò maggiormente in dettaglio e farò riferimento a qualche semplice esempio.
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Grande discorso, signor Presidente

Ho ascoltato con attenzione il discorso di fine anno del Presidente della Repubblica e ne condivido totalmente i principi. Bisogna approfittare delle difficoltà e delle sventure per ripartire con una marcia in più.
 
Un’Italia più giusta ed equa, una politica più innovativa, un rinnovato impegno nelle attività imprenditoriali e produttive, più ricerca e tecnologia per essere competitivi quando il volano dell’economia ripartirà.
Come sempre, dopo le catastrofi, ciò che rimane sulla strada è "il vecchio" mentre "il nuovo" riceve tutte le attenzioni e le rinnovate energie.
 
Auguri a tutti.
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